Elisa Bolchi: Virginia Woolf attuale e viva attraverso i social
«È stato Il giovane Holden a farmi capire che la lettura non era solo un piacevole passatempo bensì l’esperienza più bella della vita.»
Un testo davvero singolare, quello di Salinger, per iniziare a presentarvi l’ospite di oggi il cui nome, per chi già la conoscesse, viene spontaneo associare a quello di Virginia Woolf.
Elisa Bolchi, ricercatrice di Lingua e traduzione inglese presso l’Università di Ferrara, che ha da poco terminato una Borsa Marie Curie finanziata dall’Unione Europea e membro fondatore della Italian Virginia Woolf Society, si è raccontata in una lunga conversazione incentrata sul rapporto che negli anni ha instaurato con l’universo libro e nei confronti di colei che, con il passare del tempo, è diventata il centro dei propri studi e delle proprie sperimentazioni, Virginia Woolf.

Per comprendere il profondo legame che si è creato tra la nostra ospite e la scrittrice inglese, è necessario tornare indietro nel tempo, a quando una giovane Elisa, studentessa al secondo anno di università, iniziò a lavorare alla tesi di laurea inerente al tema delle influenze moderniste nella scrittura postmoderna dell’autrice britannica Jeannette Winterson.
Leggendo ciò che costei raccontava di Woolf in due saggi, contenuti in una raccolta più ampia, dedicati a Orlando e Le Onde, Bolchi iniziò a comprendere che tra lei e Woolf, della quale aveva già affrontato la lettura del celeberrimo Mrs Dalloway senza provare particolare entusiasmo, sarebbe potuta esistere una profonda affinità.
Così, ha avuto inizio una lunga e affascinante avventura che ha condotto Elisa non solo a leggere tutti gli altri scritti woolfiani ma anche a scoprire l’esistenza di una fitta corrispondenza tra Leonard Woolf[1] e Alberto Mondadori, storico editore italiano delle opere della scrittrice, conservata tra le carte d’archivio e con cui la nostra è venuta in contatto in occasione di alcune ricerche condotte per portare a termine il dottorato di ricerca in critica letteraria su quotidiani nazionali tra il primo Novecento e gli anni Cinquanta.
Dopo aver trascorso diverse ore ad analizzare le carte messe a sua disposizione dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano e dopo aver raccolto, organizzato ed elaborato tutte le informazioni ivi contenute circa l’arrivo di Woolf nel nostro Paese, ecco comparire a disposizione del pubblico un curioso libriccino intitolato L’indimenticabile artista; uno strumento utile allo studioso come al collezionista che ha così la possibilità di orientarsi in una vicenda piuttosto singolare.
A seguito di questa esperienza che ha permesso a Elisa di scoprire l’importanza e la particolarità delle fonti d’archivio utili per ottenere un ulteriore punto di vista circa l’intero universo editoriale – una visione a volte giocosa poiché rivela il gossip, la chiacchiera che sta dietro i formali e serissimi rapporti di lavoro –, è stato realizzato un database comprendente tutte le fonti scritte (su supporto cartaceo e digitale) che sono state prodotte in merito a Woolf e la sua ricezione in Italia.
Così facendo, chiunque avesse la necessità di conoscere quanto e cosa sia stato scritto circa un breve ma straordinario racconto di Woolf, pubblicato proprio nel mese di maggio del 1919 dalla Hogarth Press e intitolato Kew Gardens, potrà facilmente consultare una lunga lista di articoli e testi inerenti al tema.

Tutto questo è molto interessante anche per indagare un altro aspetto che Elisa sottolinea non essere solamente prerogativa di Woolf, bensì di tutti quegli scrittori la cui produzione sperimentale ha fatto sì che, portati in un Paese come l’Italia pre e post seconda guerra mondiale, per ciò che concerne la traduzione, subissero notevoli menomazioni, vittime di fraintendimenti o di divieti imposti dalla censura, durante il Ventennio Fascista, e dalla necessità di rendere comprensibili questi testi a un pubblico ancora poco alfabetizzato e chiuso alla sperimentazione artistico-letteraria.
Continuando a parlare di Woolf, esempio emblematico di ciò che si è appena detto, è rappresentato dalla prima traduzione italiana di La Signora Dalloway – estremamente difficile da recuperare nella sua edizione originale con sovraccoperta – eseguita da Alessandra Scalero per la collana “Il Ponte” di Mondadori pubblicata nel 1946.
In esso il celebre bacio scambiato tra le giovani Sally e Clarissa viene infatti sostituito da una rosa che Sally bacia prima di farne dono all’amica.
Inoltre, l’introduzione delle virgolette per marcare il discorso diretto, utili a una maggiore comprensione da parte del lettore italiano, intervengono in maniera significativa andando a stravolgere la struttura stessa della narrazione incentrata sull’utilizzo del discorso indiretto libero.

Tutto questo, puntualizza Bolchi, è per rendere consapevole il lettore del fatto che nel caso in cui il suo scopo fosse semplicemente quello di fruire delle opere di Woolf per il proprio piacere, sarebbe forse più funzionale approcciare una delle tante traduzioni più recenti di cui dispone oggi il mercato librario così da poter effettivamente sentire la voce di questa straordinaria artista tradotta da coloro che, nel corso del tempo, hanno avuto modo di studiare e fare propria la sua lingua restituendone una versione più competente rispetto alle prime arrivate in Italia che, specifichiamo ancora una volta, sono ben lontane dall’essere cattive traduzioni.
Nel caso specifico di Mrs Dalloway, il riferimento è alla traduzione di Nadia Fusini per “L’universale economica Feltrinelli” del giugno 2013 oppure alla più recente realizzata da Nadia Nadotti per “Einaudi Tascabili” pubblicata nell’agosto 2014.
Soffermandoci ancora per un momento sull’oggetto libro, si piò facilmente immaginare che nella biblioteca di una studiosa di Woolf e appassionata di letteratura inglese, non siano presenti solo volumi della scrittrice. Oltre alle prime edizioni italiane di Woolf affiancate da qualche volume in lingua inglese riportante il marchio della Hogarth Press, sono numerosi i tesori ivi nascosti.

Elisa, infatti, sempre guidata dall’esperienza di Winterson di cui ella narra proprio in apertura al saggio già menzionato, ha iniziato ad appassionarsi all’oggetto libro fino al punto da approfondirne l’aspetto più strettamente legato al collezionismo e cominciare così a compiere scelte che l’hanno poi condotta ad acquistare alcune delle prime edizioni italiane di testi a lei cari.
Oltre a Il giovane Holden ritrovato, dopo tanto cercare, nella prima edizione degli “Struzzi Einaudi” in maniera del tutto casuale nella cantina dei nonni paterni, Elisa ricorda, tra gli altri, le opere di Kundera recuperate nell’edizione classici Adelphi.
Al di là di tutto questo, che per il collezionista come per lo studioso ha qualche cosa di magico, durante la nostra chiacchierata, Elisa e io abbiamo affrontato un argomento che sta particolarmente a cuore a entrambe: l’utilizzo dei social in modo intelligente, l’impiego dei mezzi di comunicazione di massa al fine di «restituire al lettore una visione competente sulle cose.»
È da questa considerazione e dal fatto che il suo lavoro sia sempre stato ispirato dalla possibilità di condividere ciò che si conosce e ciò che si scopre, che qualche tempo fa è nato un progetto, ancora in fase di sperimentazione, condotto in prima persona da Elisa e che coinvolge alcune classi di liceali messi di fronte alla lettura dell’intero saggio o di brani tratti da Una stanza tutta per sé; lo scopo della ricerca consiste nel dimostrare ai giovani d’oggi l’attualità della scrittura e del pensiero woolfiano in merito a una tematica ben specifica, l’equità di genere.[2]

Riuscire nella difficile impresa di fare da ponte e filtrare le informazioni che si apprendono e che si acquisiscono durante il percorso di studi è anche l’obiettivo della Italian Virginia Woolf Society dietro cui operano gratuitamente tutti coloro che hanno fatto di Woolf la propria materia di ricerca.
Rendere fruibile a un ampio pubblico la materia di cui ci si occupa, facendo un uso intelligente e ben ponderato degli strumenti che ci permettono di arrivare in un batter d’occhio là dove altrimenti non avremmo mai potuto far sentire la nostra voce, è ciò che Elisa Bolchi ci regala come punto di vista positivo sul nostro intricato presente.
Ciò detto, non mi resta altro da fare se non darvi appuntamento al mese di giugno con Laura Bartoli, professionista nell’ambito della comunicazione digitale nonché straordinaria traduttrice di Charles Dickens.
[1] Leonard Woolf, consorte di Virginia, editore e fondatore insieme alla moglie della casa editrice Hogarth Press e curatore dell’intera opera di Virginia a seguito della tragica morte di lei avvenuta il 28 marzo 1941 nelle acque del fiume Ouse nei pressi della cittadina di Rodmell, East Sussex.
[2] L’esperimento condotto da Bolchi consiste nello svolgere una serie di workshop inerenti alla tematica dell’equità di genere il cui inizio e la cui conclusione sono segnate dalla somministrazione di un questionario. Nel mezzo, a seguito della lettura del testo di Woolf, gli studenti sono invitati a produrre un breve elaborato che racconti un fatto di violenza che si è subito o a cui è capitato di assistere oppure, ancora, un desiderio. Su questo Elisa lavora cercando brani del testo woolfiano che possano dare risposta a ciascuno di loro in modo del tutto personalizzato. Così facendo, sottolinea la stessa Bolchi, ella ha la possibilità di dimostrare ai giovani l’attualità del pensiero woolfiano utilizzando Virginia in «modo attivo».